Palazzo Roncioni, lungarno Mediceo
Il mio dovere, il mio onore, e più di tutto il mio destino mi comandano di partire.
Tornerò forse; - se i mali e la morte non m’allontaneranno per sempre da questo sacro paese, io verrò a respirare l’aria che tu respiri, ed a lasciare le mie ossa alla terra ove sei nata.
M’era proposto di non più scriverti, e di non più vederti. Ma… - io non ti vedrò, no. Soffri soltanto queste due ultime righe che io bagno delle più calde lagrime. Fammi avere in qualunque tempo, in qualunque luogo il tuo ritratto. (…)
Oimé! Io credeva d’essere più forte di quello ch’io sono.
Per carità non mi negare questo conforto. Consegnalo al Niccolini. L’amicizia troverà tutti i mezzi…
S’io morirò, egli lo custodirà come cara e preziosa memoria della tua bellezza e delle tue virtù. Egli piangerà sempre l’ultimo, infelice, eterno amore del suo povero amico.
Addio, addio. Non posso più.
Baciami Cecchino (soprannome usato per chiamare il fratello di Isabella Francesco Roncioni). Io te lo scrivo piangendo come un ragazzo.
Addio. Risovvengati qualche volta di me.
T’amo, e t’amerò sempre; e sarò sempre infelice. Addio.
Lettera di addio che ispirò quella che troviamo nel romanzo ‘Ultime lettere di Jacopo Ortis’ di Ugo Foscolo: 'ore 9', inviata da Jacopo a Teresa prima di partire per il viaggio che lo avrebbe portato dapprima a Rovigo e in seguito a Firenze, Milano
Pisa e il suo territorio dal Medioevo ad oggi
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10-06-2022
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